Vino dal futuro: l’inizio di tutto – II

La viticoltura ed il vino dopo la Grande Crisi.

Pochissimi sono i biotibi sopravvissuti tra le molte migliaia di varietà coltivate ancora intorno al 2090. In un primo tempo solamente le più sofisticate tecniche genetiche sono in grado di salvare e riprodurre alcuni cloni. In questa operazione risulta fondamentale il ruolo dell’Italia. Questo si concretizza in due direzioni. Primo, attraversi il recupero di molti vitigni che nell’ambiente relativamente incontaminato di molte nicchie della penisola hanno saputo resistere ed adattarsi alla Grande Crisi superando sia lo stress chimico-genetico che i cambiamenti climatici. Secondo, con l’imporsi di alcune idee fondanti che la viticoltura aveva già anticipato nell’opera di alcuni “visionari” di fine XX / inizio XXI secolo. Di fatto è l’enorme biodiversità del patrimonio ampelografico italiano – e balcanico in parte – che permette il rilancio della viticoltura mondiale. Ed è quindi in onore della nostra nazione che il Vinitaly, trasferitosi a Stoccolma (sic!) dal 2128, mantiene definitivamente la sua originale denominazione.

Biotecnologie e viticoltura

Verso il 2150 tecniche genomiche sofisticatissime e full-compatibili raggiungono ulteriori traguardi, sbalorditivi: si giunge alla riproduzione Jurassic park del vinotramite clonazione a partire da scarsi resti genetici – raspi e foglie ma non semi per ovvie ragioni anche se la sperimentazione è vastissima – rinvenuti nelle antiche fattorie e cascine disperse nelle valli appenniniche ed alpine, di varietà addirittura prefilosseriche e che si ritenevano scomparse “definitivamente” da secoli.

La viticoltura che ne scaturisce (2150-2180), unitamente ad una sensibilissima capacità di analisi e classificazione dei terreni e dei fattori pedoclimatici, conduce (tra la metà e la fine del sec. XXII) – definitivamente – al trionfo del concetto di terroir. Ma tale concetto ora è molto più ampio ed articolato, complesso, tanto da essere riassunto da taluni autori con il termine di “fenopedotipicismo” (M. Sammulse, 2187). Il significato rispecchia la intima ed inscindibile commistione dei caratteri tipici ed esclusivi di un vino derivati dalla combinazione unica ed irripetibile – di anno in anno – di terroir, condizioni geopedoclimatiche e varietalism.

La tracciabilità estrema del vino

Si giunge addirittura con alcuni produttori (Fittenmayr, 2204; Paskutti, 2209; Wertzverain, 2212; Kavenagovicic, 2013) alla riproduzione su supporti quanto-opto-elettronici a lamina – presenti sotto l’etichetta – di tutti i caratteri fenopedotipicistici caratterizzanti il vino: dal profilo chimico-fisico-biologico del terreno fino alla massima profondità raggiunta dalle radici alla curva climatica e meteorologica dell’annata a scansione fine di ora in ora, dalla sequenza genetica del clone descritta in termini di pico e femto satelliti alla definizione particolareggiata secondo classificazione IUPPCEV delle tecniche colturali, dei processi di vinificazione, delle pratiche di cantina. Elementi che quindi caratterizzano in modo esclusivo il prodotto contenuto nella bottiglia. Anzi, che caratterizzano il vino di ogni singola bottiglia.

La zonazione spinta ed alcuni casi estremi di terroirizzazione

I 1er Cruls, o Erste  Lagens, o Fine Zones, o Pervizemlije (tutti esempi di denominazioni del sec. XXIII, in italiano corrispondenti al termine ViQOSDeP ovvero Vigneto di Qualità Organolettica Specifica Delimitato e Protetto, più prosaicamente indicato con Intra Zona) sono per tale scopo differenziati (oggi diremmo “zonati”) mediamente su scale di omogeneità che raramente superano i 200-250 mq. Per i prodotti di pregio assoluto, o anche solo per caratterizzare elevati gradienti di fenopedotipicismo, la scala di omogeneità arriva a definire produzioni fino a alcune decine di bottiglie prodotte da poche centinaia di piante. Il legame bassa-resa/elevata-qualità è – sorprendentemente – in larga parte superato.

Terreni particolarmente vocati (Borgogna, Mosella, Alsazia, Collio, etc.) sono ricostituiti in piccole porzioni, con costi enormi, sulle pendici degli Urali, e nelle Highlands scozzesi. La Craie dello Champagne si trova ora in forma sperimentale anche in Patagonia; una piccolissima intra zona ricoperta con le terre delle colline senesi si costruisce (2310 ca.) nella parte meridionale della Svezia. Il Nebbiolo da risultati eccellenti nell’Irlanda e nella Scozia, su dei Firstly Places marnosi ricomposti di meno di un quarto di ha (1500 ceppi in coltura secondo il sistema Cetiri-wan).

Abbandono di taglio ed uvaggio: motivazioni

Ormai sono poco diffusi  – anche perché non più previsti in modo diffuso dai protocolli – il taglio e l’uvaggio. Sopravvivono tali pratiche solamente per quei prodotti le cui radici siano storicamente fondate ed attestate da una secolare tradizione (su tutti, a puro titolo di esempio: Champagne, Bordeaux, Tokaji, Valpolicella, Chianti, Sherry e diversi altri. La regolamentazione è rigidissima e molto restrittiva: le percentuali dei vari vitigni devono essere rigorosamente costanti e certificate e la tecnica enologica dichiarata ed immutabile. Tutto ciò ha lo scopo esplicito di limitare l’intervento enologico invasivo di trasformazione ed  addomesticamento del prodotto vino finale: si vuole infatti che la riconoscibilità del fenopedotipicismo sia immediata per un degustatore medio dell’epoca per qualsiasi vino classificato. Si vuole evitare cioè – nel modo più assoluto – che eccessive sovrastrutture tecniche possano riprodurre quei “vini-Frankestein” (D. Odroga, 2066, “Guida Critica Ragionata”) tecnicamente perfetti che si susseguono di anno in anno assolutamente identici a se stessi [citiamo su tutti: Gerluomo, “Frage nicht mehr, frage nicht wenig” annate dal 2046 al 2077; De Livelotti, “Chez moi ce nuit la bas”, anni ‘60 e’70 del XXI sec. – che sono sicuramente gli esempi più eclatanti degli esponenti di questa tecnica della perfezione assoluta, con la quale si arriva a costruire vini che per decenni raggiungono immancabilmente ed infallibilmente standard di 101 (sic!) centesimi partendo dall’assemblaggio di 25 e talora 30 vitigni diversi provenienti da anche un centinaio di vigneti per ottenere prodotti assolutamente equilibrati, armonici, perfetti, identici a se stessi in ogni sfumatura]. Tutto ciò viene prima esaltato (anni 2060-2070) come massimo traguardo dell’enologia mondiale, ma dopo la Grande Crisi guardato inizialmente con sospetto ed infine definitivamente considerato come pratica ultra-omologante inaccettabile (OGEU, n.12 anno 2116 – parte IV). Fuori da queste rigorose discipline, tagli ed uvaggi comunicano quindi un senso di eccessiva standardizzabilità del vino.