Rappresentare il vino

Mimesi

Mimesi significa imitazione. Concetto introdotto dai filosofi greci che ne davano però valenza differente a seconda dei pensatori. Per Platone la mimesi, in quanto rappresentazione della realtà che a sua volta è rappresentazione di una idea, è da condannare. E con essa, ça va sans dire, ogni forma di arte. Per Aristotele la mimesi assumeva invece un carattere positivo: come imitazione della forma ideale della realtà, per cui l’operare dell’artista diventa assimilabile all’operare della natura.

Rappresentare nell’Arte

Arte, quindi, come rappresentazione-imitazione della realtà. Tutti però hanno sperimentato il fatto che una fotografia sia pur tecnicamente perfetta della realtà non è in grado di restituire al soggetto che la osserva la stessa complessità vastità e profondità di un paesaggio dipinto.

La sensazione in quest’ultimo caso – il dipinto – è di percepire qualcosa in più della semplice scena rappresentata: è’ come se nel quadro fosse presente l’umidità, la temperatura, il vento, lo spessore della luce. Ma perché accade questo ?

La spiegazione è molto semplice: accade perché noi guardiamo con gli occhi ma in realtà vediamo con il cervello.

Il cervello, infatti, è in grado di ricostruire perfettamente un oggetto o un paesaggio da pochi segni anche imperfetti ed incompleti. Anzi, In questa ricostruzione è fondamentale il concetto di imperfezione e di incompletezza contenuto nel messaggio. Anzi ancora, possiamo affermare che la ricostruzione del cervello è tanto più piena e carica di sensazioni / emozioni quanto più (almeno fino ad un certo limite) il messaggio, la rappresentazione, è imperfetta ed incompleta. Al contrario, non c’è più sterile e banale trasmissione di un messaggio attraverso una rappresentazione assolutamente perfetta. Si può stabilire anche un limite oltre al quale si entra, per eccesso di rappresentazione, in un effetto di iperrappresentazione.

Rappresentare l’arte del Vino

Ma cosa può avere a che fare un tale discorso con il vino? Ci sono almeno due ambiti che hanno un nesso diretto.

Il primo potremmo definirlo “paradosso della rappresentazione enologica” ; il secondo potremo indicarlo come “paradosso della descrizione enologica“.

Il primo paradosso, pur nella sua banalità, porta a spiegare alcuni fatti molto importanti: perché, ad esempio, un vino tecnicamente perfetto può spesso essere percepito come in parte privo di una sua anima ? A volte addirittura tanto vuoto di carattere da non potersi più neppure applicare – perché improprio quando non proprio insensato – il concetto di “tipicità”; mentre – al contrario – il significato del vino porta con sé (o si vorrebbe sempre portasse con sé) proprio quella capacità di rappresentare – e quindi comunicare – in modo inequivocabile un territorio, una cultura, una tradizione.

Un esempio noto, tra i tanti che si potrebbero citare, è quello del Prosecco. Vino che gode di un successo planetario nella sua versione spumantizzata; ma la cui espressione intimamente intrecciata al territorio ed alla sua concezione primordiale è quella legata alla tipologia “colfondo“. Tecnicamente ed organoletticamente perfetto il primo, quanto vera rappresentazione del suo mondo il secondo.

Oggi a pranzo ho avuto l’occasione di presentare un Teran prodotto in Istria. A lungo  mi sono chiesto quanta carica rappresentativa del suo mondo era contenuta in questo vino dal carattere unico, scorbutico, duro per l’elevatissima acidità eppure così leale e piacevole già dopo un breve periodo di avvicinamento. Sembra che nessun altro vino possa magicamente evocare questa terra di confine, pietrosa, arida e bollente d’estate; gelida e spazzata dalla bora in inverno. Terre di forte gradiente linguistico e storico la cui asprezza ha lasciato tracce indelebili nei popoli che le abitano. Potrebbe, qui, prodursi un vino morbido, rotondo, pieno e caldo solare che esprima la rappresentazione enologica del territorio ?

Il primo paradosso è: vini “scarni“, “disequilibrati” ed “imperfetti” che rappresentano ed evocano perfettamente il loro mondo.

Il secondo paradosso ha a che fare con il linguaggio utilizzato per la descrizione di un vino. In breve, un linguaggio tecnicamente logico-scientifico come la terminologia AIS o altra similare è di fatto inappropriato per una rappresentazione efficace delle caratteristiche del vino?. E’, paradossalmente, proprio la perfezione del linguaggio che ne vanifica la capacità di rappresentazione e quindi di evocazione? Termini codificati “fotografano” perfettamente il vino, ma un ascoltatore-degustatore (si ascolta con l’orecchio ma si sente con il cervello…; si assaggia con la bocca ma si gusta con il cervello…) ben difficilmente si formerà una “vera” idea del vino?. Bisognerebbe, in realtà, ricorrere ad un linguaggio diverso?

Gedankenexperiment sulla rappresentazione del vino

In realtà esiste un esperimento mentale (gedankenexperiment) che dimostra che una verifica dell’efficacia della comunicazione si può basare su dati oggettivi o pseudo-oggettivi. Lo chiameremo Esperimento del Sommelier Virtuale (ESV) . In pratica si articola in due fasi.

Fase uno di ESV. Un sommelier degustatore esperto rimane nascosto dalla platea mentre degusta e descrive il vino. La platea può solo udirne la voce. In questa fase solo il sommelier ha il vino nel bicchiere. Alla platea non viene distribuito. Il Sommelier può far uso di tutti i termini che ritiene necessari fatto salvo quelli che possano rivelare direttamente la tipologia ed il nome del vino. Non va rivelata né l’annata né la gradazione alcolica. Il pubblico è invitato a prendere appunti. Lo volgimento dell’esperimento non può essere concitato: il tutto va inteso come processo di ricerca che necessita dei propri tempi. In questa fase alcune domande possono essere poste dal pubblico al Sommelier, che valuta opportunità e modalità della risposta.

Fase due di ESV. Terminata la descrizione, si passa alla seconda fase. Il vino viene distribuito alla platea. A questo punto dopo attenta valutazione ognuno potrà indicare in che misura il vino che ha nel bicchiere corrisponda – o meno – all’idea che si era formato attraverso la descrizione ascoltata nella prima fase.

Sarà sufficiente una scala di cinque termini, basata sulla domanda: il vino che ha degustato, corrisponde all’idea che si era formata ascoltandone la descrizione ? Si potrà ad esempio dare una delle seguenti valutazioni: 5-PIENAMENTE, 4-IN GRAN PARTE,  3-PARZIALMENTE, 2-IN PICCOLA PARTE , 1-PER NULLA. E’ naturale che una comunicazione efficace dovrebbe portare la maggioranza dei soggetti a scegliere le risposte 5 e 4.

L’aspettativa teorica, in base al paradosso sulla comunicazione del vino, è che una descrizione fatta di poche parole sapientemente approssimate, scarne ed imperfette come pennellate su una tela, possa risultare migliore di una comunicazione strettamente tecnica.

Intuizione e rappresentazione

“Disegnare” un oggetto “vero” per il cervello è questione di pochi segni semplici: tali da fare entrare il cervello stesso in quella che si definisce come Intuizione Totale (IT).

L’Intuizione Totale può essere di due tipi: relativa ed assoluta.

La prima si basa sull’ intelligenza razionale del ricevente; si operano distinzioni e rappresentazioni in base ad oggetti già noti, riconducendo a questi l’oggetto del discorso: in quanto tale la sua evoluzione non ha mai fine, è sempre parziale e non raggiunge mai – vi si avvicina solo asintoticamente – la piena comprensione. E’ un un processo di analisi che si identifica con un più o meno complesso percorso di Traduzione.

La seconda si basa sull’ intelligenza intuitiva del ricevente; in quanto tale deriva dall’esperienza diretta pregressa, dal bagaglio di conoscenze acquisite, ma senza un processo di traduzione a mediare tra messaggio e comprensione. Ed arriva immediatamente ed in modo assoluto, pieno e sintetico all’oggetto.

Intuizione significa, secondo Bergson, apprensione immediata della realtà per coincidenza con l’oggetto. In altre parole, la realtà è capita e sentita assolutamente direttamente, senza usare gli strumenti della comprensione logica: analisi e traduzione. Cioè, l’intuizione è una forma di conoscenza che penetra all’interno dell’oggetto in modo immediato senza l’atto di analizzare e tradurre. L’analisi è solo un pezzo della realtà, una forma di mediazione tra soggetto e oggetto. La traduzione è la composizione di simboli linguistici o numerici, analogamente alla prima, servono anche come mediatori. Entrambi sono strumenti imperfetti e artificiali di accesso alla realtà. Solo l’intuizione può garantire la coincidenza immediata con la realtà senza simboli o uffici.

Attraverso, come si diceva, una comunicazione scarna, imperfetta, ma evocativa.

Quale comunicazione, quale linguaggio, quale rappresentazione, quale forma di intuizione sono quindi necessari per la comunicazione delle mille sfaccettature e dei mille significati del vino?

Ne discutemmo a lungo con il nostro ECR, con rivelazioni veramente sorprendenti. La Sommellerie – soprattutto quella Italiana – né indagherà le potenzialità già a partire dalla seconda metà del decennio 2K+10.